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8 pensieri (3529-3530)

gione sia piccola o minore e piú leggera ch’ella non è, ed altrimenti teme; non è coraggioso, perché niun teme quello ch’ei non crede da temersi, e niun teme fuori dell’opinion del pericolo, vera o falsa, o ancor menoma ch’ella sia, o non ragionata, ma quasi istinto e passione (come quella di cui vedi la p. 3518-20, e massime 3519, margine).


     Anche il dolore degli uomini si consola o si scema col persuadersi che il danno, la sventura ec. o non sia tale, o sia minore ch’ella non è, o ch’ella non apparisce, o ch’ella non fu stimata a principio; e forse (eccetto quella medicina che reca la lunghezza del tempo) il dolore si consola o mitiga piú spesso cosí che altrimenti. Per questo nelle pubbliche calamità, quando importa che il popolo sia lieto o non abbattuto o men tristo che non sarebbe di ragione, si proibiscono e tolgono i segni di lutto, e si ordinano e introducono feste o segni (anche straordinarii) di allegria.  (3530) E ciò bene spesso, non tanto come cagioni, quanto appunto come segni di allegria; non tanto a produrla dirittamente, quanto a dimostrarla; non tanto a divertire gli animi dal dolore e dalla mestizia, quanto a persuaderli che non ve ne sia ragione, o che questa sia minore che non è. Nelle pesti o contagi si vieta il suonar le campane a morto. Nelle sconfitte si cela al popolo il successo, si proibisce ogni segno di lutto pubblico, si accrescono le feste, si fingono o spargono ancora delle novelle tutte contrarie al vero e piene di felicità. È proprio del buon capitano il mostrarsi lieto o indifferente a’ suoi soldati dopo un rovescio ricevuto, dopo la nuova di un disastro ec. (queste cose appartengono ancora al discorso del timore). Cosí negl’individui. L’afflitto si consola bene spesso o si rallegra, non tanto colla distrazione, quanto col dar segni a se stesso d’esser lieto o consolato, col canto, con altri atti ed operazioni d’uomo allegro o indifferente. Alla prima nuova,