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(2915-2916) pensieri 75

che escono in luce, o se vi si guarda, ciò è piú per vedere s’egli segue l’uso e la forma di stile universalmente accettata o no: se la segue, non si parla del suo stile; se non la segue, allora solo il suo stile dà nell’occhio, e per lo piú è ripreso, e ordinariamente con ragione. La differenza ch’é in questo particolar dello stile fra la lingua francese e l’altre moderne, si è che se in quella lo scrittore non ha stile proprio, egli è perché la lingua n’ha un solo; se il suo stile non è vario, egli è che la lingua non ha varietà di stile. Ma nelle altre lingue il difetto viene dallo scrittore: egli è che manca di varietà di stile, e non la lingua, e s’ei non ha stile proprio, egli può averlo; almeno la lingua sua non glielo impedisce; ma ei non ha stile proprio, perché un solo stile ha non la sua lingua, che molti ne ammette, ma, per cosí dire, la lingua europea, ossia l’uso e lo spirito universale della letteratura e della civiltà  (2916) presente, e del nostro secolo. Vedi p. 3471.

Del resto, egli è certissimo che quantunque le moderne lingue, almeno parecchie di esse, sieno capacissime d’ogni sorta di varietà, qualità e perfezion di stile, nondimeno niuna delle medesime è, che possa mostrare neppur ne’ suoi antichi e nel suo secolo aureo né tanta varietà, né di gran lunga tanta perfezione di stile propriamente detto, quanta ne possono mostrare nei loro le lingue antiche. I moderni poi, quanto vincono gli antichi nel fatto delle sentenze, tanto cedono loro tutti in tutte le parti dello stile propriamente detto, e nel culto delle parole preso in tutta l’estension del termine. E non solo non mettono né sanno mettere in pratica, ma né pur conoscono perfettamente tutte le squisitezze degli artifizi e degli accorgimenti che gli antichi insegnavano comunemente e adoperavano intorno a esso culto, e che si possono vedere negli scritti rettorici di Cicerone e di Quintiliano. I moderni non ne conoscono general-