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pensieri |
(3462-3463-3464) |
antichi l’adoperavano. Giacché non abbiamo già noi colla (3463) letteratura ereditato eziandio la religione greca e latina, né i latini, come ho detto, usarono la mitologia greca perciò ch’essi avevano adottato la greca letteratura; né se la letteratura ebbero i greci dalla Fenicia e donde si voglia, perciò fu che i greci poeti e scrittori si valsero della mitologia di quella tal gente; ma fu per le ragioni dette di sopra, e che nel nostro caso non hanno alcun luogo. Tutt’altre sono le nostre opinioni popolari nazionali e moderne da quelle de’ greci e de’ latini. E gli scrittori italiani o moderni che usano le favole antiche alla maniera degli antichi, eccedono tutte le qualità della giusta imitazione. L’imitare non è copiare, né ragionevolmente s’imita se non quando l’imitazione è adattata e conformata alle circostanze del luogo, del tempo, delle persone ec. in cui e fra cui si trova l’imitatore, e per li quali imita, e a’ quali è destinata e indirizzata l’imitazione. Questa può essere imitazione nobile, degna di un uomo, e di un alto spirito e ingegno, (3464) degna di una letteratura, degna di esser presentata a una nazione. E una letteratura fondata comunque su tale imitazione può esser nazionale e contemporanea e meritare il nome di letteratura. Altrimenti l’imitazione è da scimmie, e una letteratura fondata su di essa è indegna di questo nome, sí per la troppa viltà, essendo letteratura da scimmie, sí perché una letteratura che tra’ suoi è forestiera, e a’ suoi tempi antica, non può esser letteratura per se, ma al piú solo una parte d’altra letteratura o una copia da potersi guardare, se fosse però perfetta (ch’è sempre l’opposto) collo stesso interesse con cui si guarda una copia d’un quadro antico ec. e niente piú. Veramente pare che i nostri poeti, usando le antiche favole (come già i piú antichi italiani e forestieri scrivendo in latino), affettino di non essere italiani ma forestieri, non moderni ma antichi, e se ne pre-