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pensieri |
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davanti agli occhi.1 Anzi a questo la natura ripugna, perché il separarci perpetuamente da’ cadaveri de’ nostri è, naturalmente parlando, separazione piú dolorosa che la morte loro, la qual non facciam noi, ma questa è volontaria ed opera nostra, e quella è quasi insensibile a chi si trova presente, e accade bene spesso a poco a poco; questa è manifestissima e si fa in un punto. E separarsi da’ cadaveri tanto è quasi in natura quanto separarsi dalle persone di chi essi furono, perché degli uomini non si vede che il corpo, il quale, ancor morto, rimane, ed è, naturalmente tenuto per la persona stessa, benché mutata (piuttosto che in luogo di (3431) quella), e per tutto ciò ch’avanza di lei. Ma d’altra parte il lasciare i cadaveri imputridire sopra terra e nelle proprie abitazioni, volendoseli conservare dappresso e presenti, è mortifero e dannoso ai privati e alla repubblica. I poeti, oltre all’avere insegnato che nella morte sopravvive una parte dell’uomo, anzi la principale e quella che costituisce la persona, e che questa parte va in luogo a’ vivi non accessibile e a lei destinato, onde vennero a persuadere che i cadaveri de’ morti non fossero i morti stessi, né il solo né il piú che di loro avanzava; oltre, dico, di questo, insegnarono che l’anime degl’insepolti erano in istato di pena, non potendo niuno, mentre i loro corpi non fossero coperti di terra, passare al luogo destinatogli nell’altro mondo. Cosí vennero a fare che il seppellire i morti o le loro ceneri, e levarseli dinanzi, fosse, com’era utile e necessario ai vivi, cosí stimato utile e dovuto ai morti, e desiderato da loro; che paresse opera d’amore verso i morti quello che per se sarebbe stato segno di disamore, e opera d’egoismo; che l’amore (3432) cosí consigliato e persuaso imponesse quello ch’esso medesimo
- ↑ Veggasi a questo proposito la Parte primiera de la Chronica del Peru, di Pedro de Cieça de Leon, en Anvers, 1584, 8vo piccolo, cap. 53, fine, a car. 146, p. II, cap. 62, 63, 100, 101, principio.