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(3322-3323) | pensieri | 317 |
lingua nazionale moderna, nello stesso modo ch’ei non sono stati sufficienti a fare ch’ella avesse una letteratura moderna nazionale.
E quanto alla lingua, l’insufficienza loro a far che l’Italia n’avesse una moderna sua propria, è venuta principalmente da questa cagione. Trovando interrotta in Italia la letteratura, essi hanno trovato interrotta la lingua illustre; antica quella, antica ancor questa. Una lingua antica non può esser buona a dir cose moderne, e dirle, come devesi, alla moderna: né la nostra lingua in particolare era buona ad esprimere le nuove cognizioni, a somministrare il bisognevole a tanta e sí vasta novità. Introducendosi fra noi a poco a poco la notizia delle letterature e discipline straniere, que’ pochi italiani, ch’eccitati da queste nuove cognizioni si trovarono un capitale di mente da poter loro aggiungere qualche cosa di loro; quei molti che invaghiti della novità, o mossi da qualunque altro motivo, deliberarono, (3323) senza però aver nulla di proprio da scrivere, d’introdurre o divulgare, come si doveva, in Italia i nuovi generi, le nuove letterature e discipline, la nuova filosofia, anzi, per meglio dire, la filosofia, non bastando a ciò la lingua italiana antica, intieramente la dismessero, e come di facoltà e di pensieri, cosí di lingua andarono a scuola dagli stranieri; e da cui toglievano le cose, sia per solamente ripeterle, sia pur talora per accrescerle e in qualche parte migliorarle, da essi tolsero anche le voci e le maniere e le forme del favellare e scrivere. Gli scienziati propriamente detti, rispetto ai quali la nostra nazione non fu quasi per alcun tempo seconda a verun’altra, sempre però poco curanti della lingua, seguirono la barbarie venuta in uso, come il linguaggio ch’era loro alla mano, e come indifferentemente avrebbero seguíto qualunque altro linguaggio o puro o impuro che avessero avuto in pronto e che fosse stato comune, il che sempre avevano fatto qui ed altrove.