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(3273-3274-3275) | pensieri | 287 |
trovi nulla di straordinario né di terribile ne’ patimenti e disastri degli altri, nulla che meriti di farlo, come rinunziare al suo amor proprio per impiegarlo in altrui beneficio; come già pratico del soffrire, egli si contenta di consigliar tacitamente e fra se stesso agl’infelici, che si rassegnino alla lor sorte, e si crede in diritto di esigerlo, quasi (3274) egli medesimo n’avesse già dato l’esempio; perocché ciascuno in qualche modo si persuade di aver tollerato o di tollerare le sue disgrazie e le sue pene virilmente al possibile, e con maggior costanza, che gli altri, o almeno il piú degli uomini, nel caso suo, non farebbero o non avrebbero fatto; nella stessa guisa che ciascuno si pensa sopra tutti gli altri essere o essere stato indegno de’ mali ch’ei sostiene o sostenne. Oltre di che l’abito d’insensibilità verso l’altrui sciagure, contratto nel tempo ch’ei fu sventurato, non è facile a dispogliarsene, sí perch’esso è troppo conforme all’amor proprio, che vuol dire alla natura dell’uomo, sí perché grande e profonda è l’impressione che fa nel mortale la sventura, e quindi durevole l’effetto che produce e che lascia, e ben sovente decisivo del suo carattere per tutta la vita, e perpetuo.
Io osservo (e n’ho presente a me stesso non un solo esempio), che i giovani non poveri, o non oppressi né avviliti dalla povertà, sani e robusti di corpo, coraggiosi, attivi, (3275) capaci di fornir da se stessi a’ loro bisogni, e poco o nulla necessitosi, ovver poco o nulla desiderosi degli altrui soccorsi e dell’altrui opera o fisica o morale, almeno abitualmente; non tocchi ancora dalla sventura, o piuttosto (giacché qual è l’uomo nato che già non abbia sofferto?) tocchi da essa in modo ch’essi pel vigore della età e della complessione, e per la freschezza delle forze dell’animo, la scuotono da se, e poco caso ne fanno; questi tali giovani, dico, ancorché da una parte intolleranti fin della menoma ingiuria, ed anche pro-