universale, opuscolo stampato in Roma, e poi dal medesimo autore rifuso nell’Appendice 2a al capo 11° del libro III del Saggio filosofico di Giovanni Locke su l’umano intelletto compendiato dal Dott. Winne, tradotto e commentato da Francesco Soave C. R. S., tomo II, intitolato Saggio sulla formazione di una Lingua Universale), la qual lingua o maniera di segni non avrebbe a rappresentar le parole, ma le idee, bensí alcune delle inflessioni d’esse parole (come quelle de’ verbi), ma piuttosto come inflessioni o modificazioni delle idee che delle parole, e senza rapporto a niun suono pronunziato, né significazione e dinotazione alcuna di esso. Questa non sarebbe lingua, perché la lingua non è che la significazione delle idee fatta per mezzo delle parole. Ella sarebbe una scrittura, anzi nemmeno questo, perché la scrittura rappresenta le parole e la lingua, e dove non è lingua né parole quivi non può essere scrittura. Ella sarebbe un terzo genere, siccome i gesti non sono né lingua né scrittura, ma cosa diversa dall’una e dall’altra. Quest’algebra di linguaggio (cosí nominiamola), (3256) la quale giustamente si è riconosciuta per quella maniera di segni ch’é meno dell’altre impossibile ad essere strettamente universale, si può pur confidentemente e certamente credere che non sia per essere né formata ed istituita, né divulgata ed usata giammai. Dirò poi ancora ch’ella in verità non sarebbe strettamente universale, perch’ella lascerebbe a tutte le nazioni le loro lingue, siccome ora la francese. Ella di piú non sarebbe propria che dei dotti o cólti. Ma di tutti i dotti e cólti lo è pure oggidí la francese. Quale utilità dunque di quella lingua? la quale non sarebbe forse niente piú facile ad essere generalmente nella fanciullezza imparata di quello che sia la francese che benissimo e comunissimamente nella fanciullezza s’impara. E tutti i vantaggi che si ricaverebbero da quella chimerica lingua, tutti, e molto piú e mag-