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200 pensieri (3129-3130-3131)

continuamente materia alle scritture e allusioni digressioni ec., e di quel progetto o sogno che vogliam dire si riscaldava l’immaginazione de’ poeti e de’ prosatori, e se ne traeva l’ispirazione dello scrivere. Niente meno che fosse nell’ultimo secolo della libertà della Grecia fino ad Alessandro, il desiderio, il vóto, il progetto di tutti i savi greci, la concordia di quelle repubbliche, l’alleanza loro e la guerra contro il gran re e contro il barbaro impero persiano perpetuo nemico dell'uomo greco. E come Isocrate  (3130) per conseguir questo fine s’indirizzava colle sue studiatissime ed epidittiche, scritte e non recitate, orazioni ora agli ateniesi (nel Panegirico, e vedi l’Orazione a Filippo, edizione sopra citata, pagine 260-1), ora a Filippo, secondo ch’ei giudicava questo o quelli piú capaci di volerlo ascoltare e piú atti a concordare e pacificar la Grecia e capitanarla contro i barbari, cosí nel cinquecento lo Speroni s’indirizzava pel detto effetto con una lavoratissima orazione stampata, e non recitata né da recitarsi, a Filippo II di Spagna, ed altri ad altri secondo i tempi e le occasioni. Ma tutto indarno, non come accadde ai greci, il cui vóto fu adempiuto da Alessandro, mosso fra l’altre cose, come è fama (vedi Eliano, Var, l. 13, e ὑπόθεσ. τοῦ, πρὸς Φίλιπ. λόγου), dall’orazione appunto che Isocrate n’avea scritto a Filippo suo padre, l’uno e l’altro già morti.

Or, considerate queste circostanze, si trova veramente savissima, opportunissima, nobilissima la scelta fatta dal Tasso e degna di quel grand’animo che seppe concepire nientemeno  (3131) che un poema europeo (qual fu il Goffredo, non meno per l’argomento che per gli altri pregi), dove la generalità dell’in-


    luogo a poter facilmente trovar sicurezza e impunità, col passare i confini e mutar soggiorno, chi aveva o violate le leggi, o troppo liberamente parlato o scritto, o offeso alcun principe o repubblica nello stato italiano in ch’ei dapprima si trovava.