primi tempi e in quella imperfezione dell’ortografia, non distinguevano bastantemente e confondevano rispetto ai segni le varie pronunzie e i vari suoni, massime affini, né si curavano di distinguerli piú che tanto l’un dall’altro nelle scritture, o non sapevano perfettamente farlo. Credo per conseguenza che antichissimamente φλὲψ si pronunziasse e scrivesse φλὲβσ, non φλέπς; ἀλείψω si pronunziasse e scrivesse ἀλείφσω e non ἀλείπσω; λύγξ λύγγς, e non λύγκς; ἄρξω ἄρχσω, e non ἄρκσω; e cosí dell’altre doppie. Ma che poi, introdotto l’uso di queste doppie, si continuassero quelle lettere a pronunziare secondo la derivazione grammaticale o l’uso antico e le antiche radicali, e che quindi, per esempio, il ψ e il ξ avessero ora una pronunzia (3081) ed ora un’altra, cioè ora πσ ora βσ ec. non lo credo, anzi tengo che il ψ fosse sempre pronunziato πσ, e il ξ sempre κσ. Passaggio non difficile neppure nella pronunzia (e ordinario anche e regolare in milione d’altri casi sí nella pronunzia che nella scrittura e grammatica greca) d’una in un’altra affine, cioè dalle palatine γ e χ alla palatina κ, e dalle labiali β φ alla labiale π. Massime che il π e il κ sono veramente medie nella pronunzia tra le loro affini, benché si assegni il nome di medie al γ e al β, e al δ, non al τ ec. Lo deduco dal latino, fra’ quali parimente il x fu sostituito sí al cs che al gs, ed anticamente scrivevasi e pronunziavasi, per esempio, gregs, legs, regs, non grecs, lecs, recs, come oggidí, almeno noi italiani, sogliamo sempre pronunziare. Vedi il Forcellini e il Dizionario di grammatica e letteratura dell’Encicl. metododica, in X. Ma che in séguito il x anche tra’ latini, ossia, de’ buoni tempi, fosse sempre pronunziato cs, come oggi, dimostrasi dal considerare, per esempio, i verbi lego, rego, tego e simili (appunto venuti da’ nomi sopraddetti) i quali nel perfetto fanno rexi, texi (lego ha legi). Dove certo la x antichissimamente equivalse a gs, come ho detto altrove. Ma ec-