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(3068-3069-3070) | pensieri | 167 |
in ch’ella si spande, e non è mai se non materia di studi e di erudizione (παιδείας). Quindi poco profonde radici mettono nell’altre lingue le sue parole: e terminata l’influenza della sua letteratura (3069) termina la sua universalità (non cosí, terminata l’influenza della nazion francese è terminata né terminerà l’universalità della sua lingua, né cosí della greca ec.), e si dimenticano e disusano ben presto quelle parole e modi che lo studio e l’imitazione della sua letteratura aveva forse introdotto nelle letterature straniere, ma non piú oltre che nelle letterature. Quando in Francia, a tempo di Caterina de’ Medici, la nostra lingua si divulgò per altro che per la letteratura, allora l’italianismo nel francese non appartenne alla letteratura sola, e in questa medesima eziandio fu maggiore assai che negli altri tempi o circostanze, onde, non so qual degli Stefani scrisse quel dialogo satirico del quale ho detto altrove piú volte.
Il Menagio, Regnier Desmarais, il Milton ec. che scrissero e poetarono in lingua italiana, sono esempi non rinnovatisi, cred’io, rispetto ad alcun’altra lingua moderna, se non dipoi rispetto alla francese, e certo non dati né imitati mai dagl’italiani, se non appresso (3070) parimente quanto al francese. S’é vero che nel cinquecento v’avessero cattedre di lingua italiana tra’ forestieri, come dice Alberto Lollio, esse erano, cred’io, le uniche dove s’insegnasse lingua moderna forestiera né nazionale, né mai vi fu cosa simile in Italia per nessun’altra lingua moderna (eccetto forse in Propaganda di Roma) fino a questi ultimissimi tempi (v’é ora qualche cattedra di lingua moderna in Italia? Dubito assai: di lingua italiana? dubito ancor piú). È noto poi che la letteratura e lingua spagnuola nel suo secolo d’oro, che fu il cinquecento, come per noi, si modellò in gran parte sull’italiana, colla qual nazione la Spagna ebbe allora pur troppo che fare (30 luglio 1823).