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128 pensieri (3003-3004)

quale troverai ancora subvenio per supervenio. Vedi p. 3558. Subrepere nel luogo di Plinio citato dal Forcellini , voc. Sauroctonus, non è propriamente altro che repere di sotto in su, poiché questo è (s’io ben mi ricordo) quel che fa la lucerta nell’Apollo Saurottono del museo pio-clementino, la quale non repit clam, ma scopertamente, e non iscende ma salisce su per un albero. Plinio poi usò il tema repere come appropriato alla lucerta, ch’é quasi un reptile. Il detto Apollo è certo una copia di quel di Prassitele, di cui Plinio. Del resto, l’inserimento della s trovasi ancora dopo altre preposizioni, ed appunto al caso nostro fanno destino e praestino fratelli carnali di obstino, fatti da de o prae e da teneo (vedi Forcellini in Destino e Praestino) e non già da un sognato stino, come vogliono alcuni. E questi due verbi eziandio spettano alla categoria di cui parliamo, massime che essi, e  (3004) specialmente destino, hanno forza tutte continuativa (21 luglio 1823).


*    Frequentissimo nell’italiano scritto, e piú nello spagnuolo scritto e parlato, si è l’uso del verbo andare, andar (non ir), in senso di essere. Ecco Seneca tragico (ap. Forcellini in eo is, col. 3, principio), Non ibo inulta. Notate che noi abbiam preso indubitatamente quest’uso dagli spagnuoli (infatti esso è frequentissimo nei nostri secentisti, con cento altri spagnuolismi: nei cinquecentisti o trecentisti non si trova, ch’io mi ricordi, o mai o quasi mai). E Seneca appunto è spagnuolo. La frase dell’egizio Claudiano qui vindicet ibit, cioè erit, è d’altro genere, perché né gli spagnuoli né gl’italiani non usano andare per essere se non seguíto effettivamente o potenzialmente da un aggettivo che ha forza di predicato.1 Qua si deono

  1. Appo Orazio, Sat., II, 1, v. ultimo, tu missus abibis è lo stesso che missus, cioè absolutus eris, cioè mitteris o absolveris. I greci οἴχεσJαι con participio: uso analogo al nostro ec. ec.