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396 | pensieri | (2720-2721-2722) |
mai parlate né pure in quel secolo, né scritte se non da uno o da pochi, e quindi non sono proprie della lingua del Trecento, ma di quei particolari scrittori. E neanche nei secoli seguenti al suddetto, fino a noi, non furono mai parlate da alcuno in Italia, né scritte se non da qualche pedantesco imitatore e razzolatore degli antichi, de’ quali pedanti ve n’ha gran copia anche oggidí. Ma l’autorità di questi non fa la lingua né presente né passata. Vedi anche circa queste mostruosità arbitrarie e particolari di tale o tale (2721) trecentista, il Perticari, loc. cit., p. 133-5 e massime p. 136, fine (23 maggio 1823).
* Anche il Gelli confessava (ap. Perticari, Degli Scrittori del Trecento, l. II, c. 13, p. 183) che la lingua toscana non era stata applicata alle scienze (24 maggio 1823).
* Della impossibilità o dannosità di sostituire ai termini delle scienze o delle arti 1o, le circollocuzioni, 2o, i termini generali, 3o, i metaforici e catacretici o in qualunque modo figurati, vedi Perticari, loc. cit., p. 184-5 (24 maggio 1823).
* Aristotele diceva piú essere le cose che le parole: e il Perticari, loc. cit., p. 187-8 spiega ed applica questa sentenza alla necessità di far sempre nuovi vocaboli per le nuove cognizioni e idee (24 maggio 1823).
* Della necessità di far nuove voci alle nuove cose o alle cose non mai trattate da’ nazionali, e che ciascuna scienza o arte abbia i suoi termini proprii e divisi da quelli delle altre scienze e del dir comune, vedi Cicerone de finibus, l. III, c. 1-2 (24 maggio 1823). (2722)
* «Delle lingue vive non accade quello che delle lingue le quali piú non si parlano. Queste, a guisa di