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376 | pensieri | (2683-2684-2685) |
* « L’excès de la raison et de la vertu, est presque aussi funeste que celui des plaisirs (Aristot., de mor., II, 2. t. II, p. 19).; la nature nous a donné des goûts qu’il est aussi dangereux d’éteindre que d’épuiser. » Même ouvrage, ch. 78. t. VI, p. 456 (29 marzo, Sabato Santo, 1823). (2684)
* L’uomo sarebbe felice se le sue illusioni giovanili (e fanciullesche) fossero realtà. Queste sarebbero realtà, se tutti gli uomini le avessero e durassero sempre ad averle: perciocché il giovane d’immaginazione e di sentimento, entrando nel mondo, non si troverebbe ingannato della sua aspettativa, né del concetto che aveva fatto degli uomini, ma li troverebbe e sperimenterebbe quali gli aveva immaginati. Tutti gli uomini piú o meno (secondo la differenza de’ caratteri), e massime in gioventú, provano queste tali illusioni felicitanti: è la sola società e la conversazione scambievole, che civilizzando e istruendo l’uomo, e assuefacendolo a riflettere sopra se stesso, a comparare, a ragionare, disperde immancabilmente queste illusioni, come negl’individui cosí ne’ popoli, e come ne’ popoli cosí nel genere umano ridotto allo stato sociale. L’uomo isolato non le avrebbe mai perdute; ed elle son proprie del giovane in particolare, non tanto a causa del calore immaginativo, naturale a quell’età, quanto della inesperienza e del vivere isolato che fanno i giovani. Dunque, se l’uomo avesse continuato a vivere isolato, non avrebbe mai perdute le sue illusioni giovanili e tutti gli uomini le (2685) avrebbero e le conserverebbero per tutta la vita loro. Dunque esse sarebbero realtà. Dunque l’uomo sarebbe felice. Dunque la causa originaria e continua della infelicità umana è la società. L’uomo, secondo la natura, sarebbe vissuto isolato e fuor della società. Dunque se l’uomo vivesse secondo natura, sarebbe felice (Roma, 1 aprile, martedí di Pasqua, 1823).