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lingua, ma dal piú ordinario modo de’ parlatori presenti. Imperocché ciò che fu figura in un tempo  (2662) non riman poi figura quando è sí accomunato dall’uso, che divien la piú trivial maniera del linguaggio usitato, dipendendo i linguaggi dall’arbitrio degli uomini, tanto nell’introdursi, quanto nell’alterarsi; ed essendo i grammatici non legislatori, come alcun pensa, ma compilatori di quelle leggi che per avanti la signoria dell’uso ha prescritte.» Trattato dello stile e del dialogo del Padre Sforza Pallavicino della Compagnia di Gesú, capo IV, Modena, 1819, pag. 22 (26 dicembre, festa di Santo Stefano Protomartire, 1822).


*   Circa la mia opinione che troja nell’antico latino volesse dire come in italiano scrofa, vedi nel Forcellini troianus, aggiunto di porcus, e che cosa ne dica (Roma, 28 dicembre 1822).


*   Il Padre Sforza Pallavicino nel Trattato dello stile e del dialogo, capo 27, intitolato, Si stabilisce quali Autori deono esser seguiti nelle materie scientifiche da quelli che scrivono in italiano, ovvero in latino (ristampa di Modena, 1819, pag. 175-8), dà decisa ed universale, e non relativa ma assoluta preferenza agli  (2663) scrittori, stile e lingua del cinquecento (e del seguente secolo ancora, in cui egli scriveva) sopra quelli e quella del trecento (5 gennaio 1823).


*   In ristretto (insomma) la favella e la scrittura sono indirizzate a’ coetanei ed a’ futuri, non a’ defunti. Pallavicino, loc. sup. cit., pag. 181, fine (5 gennaio 1823).


*   Nemo enim orator tam multa, ne in graeco quidem otio, scripsit, quam multa sunt nostra. Cicero, Orator., num. 108, parlando delle sue orazioni (9 gennaio 1823).


*   Alla p. 2470. Delle metafore Cicerone nell’Oratore, num.134, comandando che l’oratore ne faccia gran-