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274 | pensieri | (2494-2495-2496) |
disposizione contraddittoria colla natura di essa. Quindi si deve scusar la natura e riconoscere che, sebbene l’amor proprio produce necessariamente l’infelicità (maggiore o minore), la natura non ha però sbagliato nell’ingenerarlo ai viventi, essendo necessario alla felicità, e però il suddetto (2495) inconveniente era inevitabile come tanti altri e deriva come tanti altri da una cosa ch’é un bene e fatta per bene (24 giugno 1822).
* Quanto sia vero che l’amor proprio è cagione d’infelicità e che, com’egli è maggiore e piú attivo, maggiore si è la detta infelicità, si dimostra per l’esperienza giornaliera. Perocché il giovane non solo è soggetto a mille dolori d’animo, ma incapace ancora di godere i maggiori beni del mondo e di goderli e desfrutarlos piú che sia possibile, e nel miglior modo possibile, finché il suo amor proprio, a forza di patimenti, non è mortificato, incallito, intormentito. Allora si gode qualche poco. Cosa osservata. Com’é anche osservatissimo che l’uomo è tanto piú infelice quanto ha piú e piú vivi desiderii, e che l’arte della felicità consiste nell’averne pochi e poco vivi ec. (ch’é appunto la cagione per cui il giovane nel predetto stato, con (2496) un ardore incredibile che lo trasporta verso la felicità, con la maggior forza possibile per poter gustare e sostenere i piaceri e anche fabbricarseli coll’immaginazione, procurarseli coll’opera ec., in un’età a cui tutto sorride e porge quasi spontaneamente i diletti, contuttoché sia privo del disinganno e però veda le cose sotto il piú bell’aspetto possibile, e di piú essendo nuovo e inesperto dei piaceri sia ancor lontano e ben difeso dalla sazietà e capace di dar peso a ogni godimento, non gode mai nulla e pena piú d’ogni altro, e si sazia piú presto; e tanto piú quanto egli è piú vivo (cosí spesso il Casa) e sensitivo ec., e quindi per necessità piú amante di se stesso). Ora la misura dei