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272 | pensieri | (2491-2492) |
quale opera ora cosí, e si chiama superbia, ora cosí, e si chiama ira, ed è sempre una passione sola primitiva, essenziale. Di modo che le passioni sono piuttosto azioni ch’effetti dell’amor proprio, cioè non sono figlie sue in maniera che ne ricevano un’esistenza propria e separata o separabile da lui.
Or, per esempio, l’ira o l’impazienza del proprio male, non è ella modificabilissima e diversissima, non solo in diverse specie o individui, ma in un medesimo individuo, secondo le circostanze? Ponetelo nelle sventure ed assuefatecelo. Sia pure impazientissimo per natura; col tempo e coll’assuefazione diviene pazientissimo (testimonio io per ogni parte di questa proposizione). Fate che questo medesimo non abbia mai provato sventure o assuefatelo di nuovo alla prosperità o supponete in una di queste due circostanze un altro individuo, e sia egli di natura mansuetissima. Ogni menomo male lo pone in impazienza. Or qual effetto piú sostanziale dell’amor proprio, che l’impazienza del male di questo sé che si ama? E pur questa (2492) impazienza è maggiore e minore secondo le nature, le specie, gl’individui e le circostanze e le assuefazioni di un medesimo individuo. Cosí dunque l’amor proprio del qual essa è opera (22 giugno 1822).
* Intorno al suicidio. È cosa assurda che, secondo i filosofi e secondo i teologi, si possa e si debba viver contro natura (anzi non sia lecito viver secondo natura) e non si possa morir contro natura. E che sia lecito d’essere infelice contro natura (che non avea fatto l’uomo infelice), e non sia lecito di liberarsi dalla infelicità in un modo contro natura, essendo questo l’unico possibile, dopo che noi siamo ridotti cosí lontani da essa natura e cosí irreparabilmente (23 giugno 1822).
* Il fatto sta cosí e non si può negare. La somma della moralità pratica era ed è tanto maggiore presso