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264 | pensieri | (2476-2477-2478) |
buoni quanto alla lingua loro, qualunqu’ella sia, e perfetti in essa e padroni, come fu Cicerone della latina o come lo furono gli altri scrittori latini e greci, men grandi di Cicerone in questo e nel rimanente, ma pur buonissimi e classici. (2477) Dico buoni in questo senso, giacché non entro nell’arte del pensare ec. E quel che dico de’ prosatori dico anche de’ poeti, colle stesse restrizioni e quanto al modo di trattare e significare le cose immaginate: ché l’invenzione e l’immaginazione in se stesse e assolutamente considerate appartengono a un altro discorso.
Fatto sta che oggi tutti sanno come vada fatto, e niuno sa fare. Niuno sa fare perfettamente, e pochissimi passabilmente. E gli ottimi scrittori moderni di qualunque lingua o tempo appena si possono paragonare all’ultimo de’ buoni antichi. O se gli agguagliano in qualche parte o qualità o se anche li vincono, sottostanno loro grandemente in altre parti, e nell’effetto dell’insieme e nel complesso delle qualità spettanti all’arte del ben comporre e ben enunziare i propri sentimenti e formare un discorso. Siccome per l’opposto non è sí mediocre scolare di rettorica, il quale abbia pur letto la rettorica del Blair e non ne sappia, quanto al modo e alla ragione del ben comporre, piú di Cicerone. (2478)
Tant’è. Secondo l’osservazione del Democrito Britanno Bacon da Verulamio tutte le facoltà ridotte ad arte steriliscono, perché l’arte le circonscrive. (Gravina, Della Tragedia, cap. 40, p. 70, principio). L’arte si trova sempre e perfezionata (ovvero inventata e formata) e divulgata e conosciuta da tutti in quei tempi nei quali meno si sa metterla in pratica. A tempo d’Aristotele non v’erano grandi poeti greci: l’eloquenza romana era già spirata a tempo di Quintiliano, il quale forse in quanto al modo di fare se n’intendeva piú di Cicerone. Lo stesso saper quel che va fatto è cagione che questo non si sappia fare.