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(2471-2472-2473) | pensieri | 261 |
stare sopra se stessi, i quali ancora provano, se non altro, qualche difficoltà a tenere il segreto e qualche voglia interna di manifestarlo (anche con danno loro), quando sono sull’andare del confidarsi con altrui o semplicemente del conversare o discorrere (2472) o chiacchierare. Dico lo stesso anche di quando il segreto non è d’altrui ma nostro proprio, e quando noi vediamo che il rivelarlo fa danno solamente o principalmente a noi, e come tale ci eravamo proposto di tacerlo e poi lo confidiamo per isboccataggine.
Ma che anche questa inclinazione non sia naturale né primitiva (come pare), ma effetto delle assuefazioni e dell’abito di società contratto dagli uomini vivendo cogli altri uomini, lo provo e lo sento io medesimo, che quanto era prima inclinato a comunicare altrui ogni mia sensazione non ordinaria (interiore o esteriore), cosí oggi fuggo ed odio non solo il discorso, ma spesso anche la presenza altrui nel tempo di queste sensazioni. Non per altro se non per l’abito che ho contratto di dimorar quasi sempre meco stesso e di tacere quasi tutto il tempo e di viver tra gli uomini come isolatamente e in solitudine. Lo stesso si dee credere che avvenga ai solitarii effettivi, ai selvaggi, a quelli che o non hanno società, o poca o rara, all’uomo naturale insomma, privo del linguaggio o con poco uso del medesimo, al muto, a chi per qualche accidente ha dovuto per lungo tempo viver lontano dal consorzio degli uomini, come naufraghi, pellegrini in luoghi di favella non conosciuta, carcerati ec., frati silenziosi ec. (11 giugno 1822). (2473)
* Alle ragioni da me recate in altri luoghi, per le quali il giovane per natura sensibile e magnanimo e virtuoso, coll’esperienza della vita diviene, e piú presto degli altri e piú costantemente e irrevocabilmente e piú freddamente e duramente e insomma piú eroicamente vizioso, aggiungi anche questa,