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166 | pensieri | (2318-2319) |
sto fra i dittonghi latini. Vedi il Forcellini e la Regia Parnasi. L’i terminativo dei nominativi plurali, seconda declinazione ch’é sempre lungo dovette esser da prima un dittongo, come l’οι greco nei corrispondenti nominativi plurali della terza. Lascio stare i nomi greci, dove quelli che in greco sono dittonghi, a talento del poeta latino ora diventano dissillabi ec., ora monosillabi come Theseus, Orphea, Orphei, dativo ec. Né solo i nomi, ma ogni sorta di parole.
Lascio ancora che l’ablativo della prima declinazione singolare da principio, e forse sempre a’ buoni tempi, si pronunziò (cred’io, e vedi i grammatici) coll’a doppia (musaa o musâ) e pur fu sempre considerata quell’a come monosillaba. E che si pronunziasse coll’a doppia me ne fa fede il veder che se ciò non fosse, molte volte ne’ poeti si troverebbe una brutta cacofonia e consonanza, quando tali ablativi concorrono con altre parole terminate in a, ch’é frequentissimo. Lascio l’antica scrittura di heic per hic, sapienteis, sermoneis ec. ec., dove l’ei fu pur (2319) sempre avuto per monosillabo. Lascierò ancora che tutte o quasi tutte le contrazioni usitate in latino, o per licenza o per regola, dimostrano il costume di pronunziar piú vocali in una sola sillaba. Per esempio, Deum, virum per deorum, virorum, venne dal costume di elidere la r, onde deoum, viroum dissillabi, e quindi deum, virum, genitivi contratti, forma usitatissima specialmente presso gli antichi, piú conformi al volgare. Vedi p. 2359, fine.
Ma il vedere che i latini poeti per costumanza regolare, tanto che il contrario sarebbe stato irregolare (come in quel di Virgilio foemineo ululatu), elidevano costantemente l’ultime vocali delle parole seguite da altre parole comincianti per vocale, e ciò anche da un verso all’altro spesse volte (come in Orazio animumque moresque Aureos educit in astra, nigroque Invidet Orco ec. e in Virgilio Georgiche, II, 69,