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(1892-1893) pensieri 427

biar faccia in modo da non riconoscersi piú per quella della riforma, e cosí successivamente la lingua di uno o due secoli dopo non riconoscersi per quella di uno o due secoli prima. Né tarderà molto che i classici del secolo di Luigi XIV saranno meno intesi dall’universale de’ francesi di quello che Dante dagli odierni italiani. La lingua francese insomma, appunto perché lo spirito e l’andamento della nazione è sempre quello stesso che suggerí la riforma, ha bisogno ad ogni tratto di un’altra tale riforma, che renda classica ed autorizzi una nuova lingua, dismettendo la passata rispettiva. E sempre ne avrà bisogno piú spesso, perché la marcia è sempre piú rapida. Il fatto lo dimostra confrontando e le parole e lo spirito dell’odierna lingua francese con quella del tempo di Luigi XIV sí poco distante.

Tornando al proposito, la nostra lingua non ha mai sofferto simili riforme, siccome nessun’altra che la francese, stante la diversità delle circostanze nazionali. Che se volessimo pur considerare come riforma le operazioni dell’Accademia della Crusca, questa riforma sarebbe stata al rovescio della francese, perché avrebbe ristretto la nostra lingua all’antico ed all’autorità degli antichi, escludendo il moderno e l’autorità de’ moderni, cosa che, siccome ripugna alla natura di lingua viva, cosí non merita alcun discorso.  (1893) Bensí, scemato coll’andar del tempo e colla mutazion degli studi e dello spirito in Italia lo studio della lingua e de’ classici, infinite parole e modi sono andate e vanno tutto giorno in disuso, le quali però tuttavia son fresche e vegete, ancorché di fatto antichissime; e siccome si possono usare senza scrupolo, cosí di tratto in tratto, qua e là, questa o quella si vien pure adoperando da qualcuno in modo che tutti le intendono, e nessuno nega o può negare di riconoscerle e sentirle per italiane. E finattanto che la lingua nostra conserverà il suo spirito ed