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400 | pensieri | (1844-1845-1846) |
che non si sa in che consista, perché i suoi figli vi si uniformano come gli altri; ma ciò ch’essi fanno in questo particolare, non si vuol riconoscere dall’universalità della nazione (o da’ pedanti) come bene e convenientemente fatto in punto di lingua, all’opposto di ciò che accade nelle altre nazioni. Convengo che quando in luogo di una parola greca, ch’é sempre straniera per noi, si possa far uso di una parola italiana o nuova o nuovamente applicata, che perfettamente esprima la nuova cosa, questa si debba preferire a quella (purché la greca o altra qualunque non sia universalmente prevalsa in modo che sia immedesimata coll’idea e non si possa toglier quella senza distruggere o confondere o alterar questa; giacché in tal caso una diversa parola, per nazionale, espressiva, propria, esatta, precisa ch’ella fosse, non esprimerebbe mai la stessa idea, se non dopo un lungo uso ec. e fratanto non saremmo intesi). Ma fuori di (1845) questo caso che di rarissimo si verifica, perché l’Italia sola vorrà rinunziare, primo, al costume generale di questo e d’altri secoli e dell’Europa, che avrebbe diritto di farsi adottare quando anche non fosse necessario né buono; secondo, al benefizio universale di quella maravigliosa lingua, che benché morta da tanti secoli somministra perpetuamente il bisognevole a denominare e significare appuntino tutto ciò che vive e tutto ciò che nasce o si scuopre o nuovamente si osserva nel mondo? (5 ottobre 1821).
* Moltissime parole si trovano, comuni a piú lingue, o perché derivate da questa a quella ed immedesimate con lei, o perché venute da origine comune, le quali parole in una lingua sono eleganti, in un’altra no; in una affatto nobili, anzi sublimi, in un’altra affatto pedestri. Cosí dico delle frasi ec. Unica ragione è la differenza dell’uso e delle assuefazioni. Noi italiani possiamo facilmente osservare (1846)