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342 pensieri (1740-1741)

(giacché prima non esisteva l’amor di lode), qual cosa piú conforme alla natura, piú dolce a chi la pronunzia, qual cosa a cui lo spirito sia piú spontaneamente e potentemente inclinato, qual cosa meno dannosa a’ nostri simili, qual piacere insomma piú innocente e qual premio piú conveniente alla virtú o all’opinione di lei? Eppur l’assuefazione ce la fa riguardare come un vizio da cui l’animo ben fatto naturalmente rifugga, come un desiderio di cui bisogni arrossire (e qual cosa ha ella in se stessa e per natura che sia vergognosa?), come contrario al dovere della modestia che si suppone innato e non lo è punto (consideriamo i fanciulli, i quali tuttavia, non appena cominciano a desiderar la lode, che già sono avvertiti a non darsela da se stessi),  (1741) come ripugnante insomma a un dettame interno e proibita dalla legge naturale.


Dal che dedurremo: 1o, una nuova conferma di questa innegabile legge naturale; 2o, un’altra prova dell’odio naturale dell’uomo verso l’uomo, il quale fa che la cosa piú innocente e meno dannosa agli altri in se stessa divenga subito cattiva in una società un poco formata, perché il bene e il vantaggio di un individuo dispiace per se solo agli altri individui, ancorché non pregiudichi loro, anzi pur giovi (19 settembre 1821).


*   Le circostanze mi avevan dato allo studio delle lingue e della filologia antica. Ciò formava tutto il mio gusto; io disprezzava quindi la poesia. Certo non mancava d’immaginazione, ma non credetti d’esser poeta, se non dopo letti parecchi poeti greci (il mio passaggio però dall’erudizione al bello non fu subitaneo, ma gradato, cioè cominciando a notar negli antichi e negli studi miei qualche cosa piú di prima ec. Cosí il passaggio dalla poesia alla prosa, dalle lettere alla filosofia. Sempre assuefazione). Io non mancava né d’en-