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318 | pensieri | (1699-1700-1701) |
* Alla p. 1562, fine. Non si dà salvatichezza in natura. Bensí per noi. Ciò vuol dire che non siamo quali dovevamo. Quello che per noi è salvatico o non doveva servirci e non era destinato all’uomo, o non è salvatico se non perché noi siamo civili e incapaci quindi di servircene come avremmo dovuto e come la natura avea destinato. Non si nega che la coltura, i nesti ec. non migliorino le piante, le frutta, e le razze loro, molte delle quali (1700) nel loro stato di salvatichezza non ci potrebbero servire affatto, o ci servirebbero o diletterebbero assai meno ec. Cosí dico degli animali ec. Ma questo miglioramento è relativo al nostro stato presente, non mica alla natura di quelle razze ec. pretese migliorate, né alla natura propria nostra. Infatti quelle razze ec. coi miglioramenti che ricevono dalle nostre arti acquistano qualunque altra qualità fuorché il vigore, la robustezza, la sanità, la forza di resistere alle intemperie, alle fatiche ec., di operare ec. di crescere proporzionatamente ec. Anzi quanto guadagnano in altre qualità, non proprie né primitive loro, altrettanto perdono in questa, ch’é il vero carattere della natura in tutte le sue opere, e senza la cui rispettiva dose proporzionata alla natura di ciascun genere l’individuo è insomma in istato di malattia abituale. Vedi la Veterinaria di Vegezio, prologo al lib. II, nel passo riportato dal Cioni, Lettera a G. Capponi sopra Pelagonio, not. 19. Il vigore rispettivo è la prima e piú necessaria di tutte le facoltà, perché insomma non è altro che la facoltà di pienamente esercitare tutte le proprie facoltà e tutte le qualità rispettive della propria natura e tutta la perfezione fisica della propria esistenza. Senza la qual perfezione (1701) fisica (che la natura ha dato immediatamente a tutti i generi ed all’umano come agli altri, a differenza della pretesa perfezione dell’animo), né l’animo (che dipende in tutto dal fisico) né l’intero animale può mai essere se non imperfetto (14 settem. 1821).