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316 | pensieri | (1696-1697) |
fuor del verso, gli ardimenti, le metafore, le immagini, i concetti, tutto bisogna che prenda un carattere piú piano, se si vuole sfuggire il disgusto dell’affettazione e il senso della sconvenienza di ciò che si chiama troppo poetico per la prosa, benché il poetico, in tutta l’estensione del termine, non includa punto l’idea né la necessità del verso né di veruna melodia. L’uomo potrebb’esser poeta caldissimo in prosa, senza veruna sconvenienza assoluta; e quella prosa, che sarebbe poesia, potrebbe senza nessuna sconvenienza assumere interissimamente il linguaggio il modo e tutti i possibili caratteri del poeta. Ma l’assuefazione contraria ed antichissima (originata forse da ciò che i poeti si animavano a comporre colla musica e componevano secondo essa a misura e cantando, e quindi verseggiando, cosa molto naturale) c’impedisce di trovar conveniente una cosa che né in se stessa né nella natura del linguaggio umano o dello spirito poetico o dell’uomo o delle cose rinchiude niuna discordanza. (1697) (14 settembre 1821).
* Alla p. 1676, fine. Parimente si può dire che tutte le assuefazioni, e quindi tutte le cognizioni e tutte le facoltà umane, non sono altro che imitazione. La memoria non è che un’imitazione della sensazione passata e le ricordanze successive imitazioni delle ricordanze passate. La memoria (cioè insomma l’intelletto) è quasi imitatrice di se stessa. Come s’impara se non imitando? Colui che insegna (sia cose materiali, sia cose immateriali) non insegna che ad imitare piú in grande o piú in piccolo, piú strettamente o piú largamente. Qualunque abilità materiale che si acquista per insegnamento, si acquista per sola imitazione. Quelle che si acquistano da se, si acquistano mediante successive esperienze a cui l’uomo va attendendo, e poi imitandole, e nell’imitarle acquistando pratica e imitandole meglio, finch’egli vi si per-