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(1553-1554-1555) | pensieri | 229 |
e le perda secondo la novità delle circostanze ec. ec., che trasportato in un nuovo paese o in un nuovo circolo ne pigli subito le virtú o i vizi. Dico finattanto che nel fanciullo non si può pretendere il discernimento, il quale deriva da una lunga e varia serie di assuefazioni (23 agosto 1821).
* Tutti dicono che l’uomo è un animale imitativo, ch’egli è singolarmente portato (1554) all’imitazione, influito dall’esempio ec. Che altro è questo se non dire ch’egli dipende in tutto dall’assuefazione; che non apprende se non perché si avvezza, e non ha fra tutti gli animali somma facoltà di apprendere, se non perché ha fra tutti somma facoltà di avvezzarsi, come somma inclinazione e disposizione a imitare; che quasi tutte le sue facoltà e qualità sono acquisite ec. ec.? (23 agosto 1821).
* Non solo, come ho spiegato altrove, si fa male quello che si fa con troppa cura, ma se la cura è veramente estrema, non si può assolutamente fare, e per giungere a fare bisogna rimettere alquanto della cura e della intenzione di farlo (24 agosto 1821).
* In questo presente stato di cose non abbiamo gran mali, è vero, ma nessun bene; e questa mancanza è un male grandissimo, continuo, intollerabile, che rende penosa tutta quanta la vita, laddove i mali parziali ne affliggono solamente una parte. L’amor proprio, e quindi il desiderio ardentissimo della felicità, perpetuo ed essenzial compagno della vita (1555) umana, se non è calmato da verun piacere vivo affligge la nostra esistenza crudelmente, quando anche non v’abbiano altri mali. E i mali son meno dannosi alla felicità che la noia ec., anzi talvolta utili alla stessa felicità. L’indifferenza non è lo stato dell’uomo; è contrario dirittamente alla sua natura, e quindi alla