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162 | pensieri | (1440-1441-1442) |
la nazione sia pienamente d’accordo sul soggetto della festa, e le passioni individuali siano tutte morte intorno ad esso, e il giudizio sia puro, libero e conforme spontaneamente in tutta la nazione. E quando pur ciò si avverasse, ch’é impossibile, intorno ad un principe vivente, non è mai festa nazionale quella ch’è, se non altro, sospetta di adulazione a quegli stessi che la celebrano. Questo solo sospetto, inseparabile dagli onori resi a un potente vivo, spegne qualunque sentimento magnanimo, è incompatibile coll’entusiasmo, e con (1441) quel senso di libertà che forma la piú necessaria parte di una festa nazionale, la quale deve racchiudere l’idea di premio conceduto alla virtú, al merito, ai beneficii, ma conceduto spontaneamente e gratuitamente, cioè per pura gratitudine, ammirazione, amore, senza sperar nulla da colui al quale si concede. Non sono utili, sí per le dette ragioni, le quali affogano anzi vietano affatto l’entusiasmo, e tutta la vita che da tali istituzioni si raccoglie, sí perché l’esempio de’ regnanti o de’ potenti non è imitabile, e quindi inutile alla moltitudine. E la disuguaglianza e la distanza delle condizioni fra l’onorato e chi l’onora toglie ancora quell’affezione, quell’inclinazione, quella specie di amicizia, che nelle antiche feste nazionali legava il popolo co’ suoi passati Eroi ed era capace di eccitare generosamente gli animi.
Le feste del popolo Ebreo furono tutte religiose. Ma presso tutti i popoli antichi, massimamente però presso gli Ebrei, la religione era strettissimamente legata colla storia (1442) della nazione. Le opinioni che gli Ebrei avevano circa la loro origine ec., il loro governo sempre partecipante di teocrazia, i loro costumi tanto e continuamente influiti dalla religione, come si vede anche oggi ec., confondevano forse piú che presso qualunque altro popolo, a causa forse della loro maggiore antichità, le origini e i progressi della nazione colle origini e i progressi del culto, le glorie della