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112 | pensieri | (1359-1360) |
formata la lingua nostra, la latina, la greca (ho già detto che la francese non ha vera letteratura né poesia, eccetto quella letteratura epigrammatica e di conversazione, ch’é loro propria, e dove riescono assai bene; ché il resto è piuttosto filosofia che letteratura). La filosofia di Socrate poteva e potrà sempre, (1360) non solo comparire, ma infinitamente servire alla letteratura e poesia, e gioverà pur sempre agli uomini piú dell’odierna (vedi p. 1354), dalla quale non negherò che non possa ricevere qualche miglioramento, quasi accessorio o quasi rifiorimento. Ma la filosofia di Locke, di Leibnizio ec. non potrà mai stare colla letteratura né colla vera poesia. La filosofia di Socrate partecipava assai della natura, ma questa nulla ne partecipa, ed è tutta ragione. Perciò né essa né la sua lingua è compatibile colla letteratura, a differenza della filosofia di Socrate e della di lei lingua. La qual filosofia è tale che tutti gli uomini un poco savi ne hanno sempre partecipato piú o meno in tutti i tempi e nazioni, anche avanti Socrate. È una filosofia poco lontana da quello che la natura stessa insegna all’uomo sociale. Si dividano dunque le lingue, e la nostra che tante ne contiene e cosí diverse anche dentro uno stesso genere, potrà ben contenere allo stesso tempo una lingua bella e una lingua filosofica. Ed allora avrà una filosofia, e seguirà ad avere quella poesia e quella letteratura nella quale ha sempre superato tutte le moderne.
Conosco bene che l’età del vero non è quella del bello, e che un secolo o un terreno fecondo di grandi intelletti difficilmente sarà fecondo di grandi immaginazioni e sensibilità, perché gl’ingegni degli uomini si modificano secondo le circostanze. In tal caso sarà sempre costante che, siccome questa è l’età del vero, bisogna che la lingua nostra assuma le qualità che servono al vero, e ch’ella non ebbe mai. Quando però l’Italia, terra del bello e del grande,