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86 pensieri (602-603)

vitam, quod multi, et ii docti, saepe fecerunt, neque me vixisse poenitet; quoniam ita vixi, ut non frustra me natum existimem. Cicerone Cato maior seu de senectute, c. 23, in persona di Catone.


*    La mente nostra non può non solamente conoscere, ma neppur concepire alcuna cosa oltre i limiti della materia. Al di là non possiamo con qualunque possibile sforzo, immaginarci una  (602) maniera di essere, una cosa diversa dal nulla. Diciamo che l’anima nostra è spirito. La lingua pronunzia il nome di questa sostanza, ma la mente non ne concepisce altra idea, se non questa, ch’ella ignora che cosa e quale e come sia. Immagineremo un vento, un etere, un soffio (e questa fu la prima idea che gli antichi si formarono dello spirito, quando lo chiamarono in greco πνεῦμα da πνέω, e in latino spiritus da spiro; ed anche anima presso i latini si prende per vento, come presso i greci ψυχὴ derivante da ψύχω, flo, spiro, ovvero refrigero); immagineremo una fiamma; assottiglieremo l’idea della materia quanto potremo per formarci un’immagine e una similitudine di una sostanza immateriale; ma una similitudine sola: alla sostanza medesima non arriva né l’immaginazione, né la concezione dei viventi; di quella medesima sostanza, che noi diciamo immateriale, giacché finalmente è l’anima appunto e lo spirito che non può concepir se stesso. In cosí perfetta oscurità pertanto ed ignoranza su tutto quello che è o si suppone fuor della materia, con che  (603) fronte o con qual menomo fondamento ci assicuriamo noi di dire che l’anima nostra è perfettamente semplice e indivisibile e perciò non può perire? Chi ce l’ha detto? Noi vogliamo l’anima immateriale, perché la materia non ci par capace di quegli effetti che notiamo e vediamo operati dall’anima. Sia. Ma qui finisce ogni nostro raziocinio; qui si spengono tutti i lumi. Che vogliamo noi andar oltre, e analizzar la