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(586-587) pensieri 77

affatto dall’azione e dall’ordine nostro. I quali accidenti che si chiamano mali, disastri, ec. danno tanto che fare ai filosofi, i quali non vedono come possano aver luogo nell’opera della natura; ed alcuni sono stati cosí temerari, che siccome la ragione nelle sue piccole opere si sforza di escludere la possibilità d’ogni accidente particolare contrario a quel tal ordine generale, cosí hanno creduto che, se la ragione umana avesse presieduto all’opera della natura, questi accidenti non avrebbero avuto luogo. Ma le dette imperfezioni accidentali non entrano nel piano della natura (sebbene neppur questo possiamo dire non conoscendo l’intero ordine ed armonia delle cose); non ne sono però matematicamente e necessariamente esclusi, e sono da lei quasi permessi, in quel modo come dicono i Teologi che Dio permette il peccato, ch’é sommo male e imperfezione, ma accidentale: e in ogni modo il piano, il sistema, la macchina della natura, è composta e organizzata in altra maniera da quella della ragione, e non risponde all’esattezza matematica.  (587)

Cosí dunque la società veramente primordiale e naturale alla specie umana, come a quelle dei bruti, senza principato, senza soggezione, senza disuguaglianza, senza gradi, senza regole, poteva benissimo corrispondere al fine, cioè al comun bene, come vi corrisponde quella delle formiche; al qual fine non può mai corrispondere una società piú stretta e formata, se manca di unità. Ma quella primissima società camminava alla buona e cosí alla buona conseguiva l’intento della natura e la sua destinazione. Né per questo era necessario opporsi alla natura, e introdurre una contraddizione tra il fatto e il diritto, una contraddizione nell’ordine delle cose umane, introducendo qualità contrarie alle qualità ingenite ed essenziali dell’uomo; vale a dire la soggezione e disuguaglianza contrarie alla libertà ed uguaglianza naturale.

Che se le api hanno un capo, e quindi soggezione