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vrebbe; e sebbene è libero da quel male, contro il quale è diretto quel rimedio; contuttociò quello stesso rimedio è un male, un vizio, un’imperfezione; e sebbene non nuoce piú il primo male, nuoce il rimedio; e quell’individuo non è mica perfetto né sano. Cosí una gamba di legno a chi ha perduto la naturale. Il quale cammina bensí con quella gamba, che altrimenti non potrebbe sostenersi: ma non perciò resta ch’egli non sia imperfetto.

Ed ecco, per conclusione del mio discorso, come quei governi e quelle cose d’ogni genere che da principio e secondo natura sarebbero ed erano perfette, tolta la natura non possono piú esserlo malgrado qualunque sforzo della ragione, del sapere, dell’arte; e queste non possono mai riempiere il luogo della natura e fare perfettamente le di lei veci; anzi, rimediando a un male, ne introducono necessariamente un altro; perché esse stesse, introdotte che sono in qualunque genere di cose, ne formano un’imperfezione e rendono quella tal cosa imperfetta per ciò solo che le contiene (22-29 gennaio 1821).


*    Da tutto il sopraddetto deducete questo corollario. L’uomo è naturalmente, primitivamente  (580) ed essenzialmente libero, indipendente, uguale agli altri, e queste qualità appartengono inseparabilmente all’idea della natura e dell’essenza costitutiva dell’uomo, come degli altri animali. La società è nello stesso modo primitivamente ed essenzialmente dipendente e disuguale, e senza queste qualità la società non è perfetta, anzi non è vera società. Pertanto, l’uomo in società bisogna che necessariamente si spogli e perda delle qualità essenziali, naturali, ingenite, costitutive e inseparabili da se stesso. Le quali egli può ben perdere in fatto, ma non in ragione, perché come si può considerare un essere spoglio di una sua qualità intrinseca, costitutiva e indipendente affatto dalle circo-