Pagina:Zibaldone di pensieri II.djvu/51

38 pensieri (517-518)

non potendo, è contro natura. Nell’atto dei mali parimente, vedendo qualcuno cadere ec., ancorché quel male non sia degli orribili e stomachevoli all’apparenza, contuttociò ne proviamo naturalmente e indeliberatamente gran pena. E chi osserverà bene, questi moti sono distinti dalla compassione, la quale vien dietro al male e non lo precede, o accompagna. Anche nelle cose inanimate o negli esseri d’altra specie dalla nostra, vedendo a perire, o in pericolo di perire o guastarsi, un oggetto bello, prezioso, raro, utile, e che so io, un animale ec., proviamo lo stesso sentimento doloroso, la stessa necessità di esclamare, d’impedirlo potendo ec. E ciò, quantunque quella cosa  (518) non appartenga a veruno in particolare, e la sua perdita o guasto non danneggi nessuno in particolare. Cosí che quel sentimento dispiacevole che noi proviamo allora, si riferisce immediatamente all’oggetto paziente, forse ancora quand’esso abbia un possessore, e che questo c’interessi. Dicono che la donna è ben forte quando può vedere a rompere la sua porcellana senza turbarsi. Ma non solamente le donne; anche gli uomini; e non solamente nelle cose proprie, anche nelle altrui o comuni o di nessuno, purch’elle sieno di un certo conto, provano nei detti casi la detta sensazione, indipendentemente dalla volontà. La radice di questo sentimento non par che si possa trovare nell’amor proprio. Par che la natura nostra abbia una certa cura di ciò ch’è degno di considerazione e una certa ripugnanza a vederlo perire, sebbene affatto alieno da noi. Par ch’ella ci abbia tutti incaricati in solido di provvedere per parte nostra alla conservazione di tutto il buono (osservate queste parole, le quali potrebbero estender di molto questo pensiero, per esempio al morale, al bello di ogni genere e immateriale ec.) e impedirne la distruzione e che questa danneggi positivamente ciascuno per la sua parte. In questo aspetto forse si potrebbe riferire alla lunga all’amor