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(1160-1161) | pensieri | 451 |
tonghi sciolti siccome i greci, cosí mi persuado facilmente che a’ tempi di Cicerone e di Virgilio li pronunziassero chiusi come oggi si pronunziano (12 giugno 1821).
* Alla p. 1118. Perché meglio s’intenda questa teoria de’ verbi continuativi, ne osserveremo e ne distingueremo la natura piú intimamente ed accuratamente che non abbiamo fatto finora. Atto ed azione propriamente differiscono tra loro. L’atto, largamente parlando, non ha parti, l’azione sí. L’atto non è continuato, l’azione sí. Questi due verbali actus ed actio, sí nel latino come nell’italiano, (ed anche nel francese ec.), e non solamente questi, ma anche gli altri di simile formazione, a considerarli esattamente differiscono in questo, che il primo considera l’agente come nel punto, il secondo come nello spazio o nel tempo. Certo non si dà cosa veramente e assolutamente indivisibile, ma se considereremo le opere dell’uomo o di qualunque agente, vedremo che alcune ci si presentano come indivisibili e non continuate, altre come divisibili e continuate. Quando per tanto il verbo positivo latino significa atto, il verbo continuativo significa azione. (1161) Per esempio, vertere significa atto, versare azione. Il voltare non può farsi veramente in un punto solo, ma la lingua necessariamente considera l’atto del voltare come indivisibile e non continuato. Laddove quello che in latino si chiama versare, come il voltare per un certo tempo una ruota, si considera naturalmente come azione continuata, fatta non già nell’istante, ma nello spazio e composta di parti. Questa dunque è azione, quello è atto, e quest’azione è composta di molti di quegli atti. Spessissimo avviene che ciò che l’uomo o la lingua considera come atto sia piú durevole di un’azione dello stesso genere. Come, per non dipartirci dall’esempio recato, l’azione del voltare una