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300 pensieri (961-962-963)

dotus (notante etiam Porphyr., ap. Eus., l. X, praep., c. 2., p. 466) usum ἀκράτῳ Ἰάδι, Herodotum ποικίλη (Fabricius, Bibliotheca Graeca, II, c. 20, § 2, t. I, 697, nota K), cioè l’uno del dialetto ionico puro, l’altro del dialetto ionico variato o misto. E contuttociò Erodoto è chiamato  (962) dal suo concittadino Dionigi d’Alicarnasso (Epistola ad Eneium Pompeium, p. 130, Fabric.) Ἰάδος ἄριστος κανὼν (20 aprile, Venerdí Santo, 1821).


*    Sono perciò rare tra’ francesi le buone traduzioni poetiche, eccetto le Georgiche volgarizzate dall’abate De-Lille. I nostri traduttori imitan bene; tramutano in francese ciò che altronde pigliano, cosicché nol sapresti discernere, ma non trovo opera di poesia che faccia riconoscere la sua origine e serbi le sue sembianze forestiere; credo anzi che tale opera non possa mai farsi. E se degnamente ammiriamo la Georgica dell’abate De-Lille, n’è cagione quella maggior somiglianza che la nostra lingua tiene colla romana onde nacque, di cui mantiene la maestà e la pompa. Ma le moderne lingue sono tanto disformi dalla francese, che se questa volesse conformarsi a quelle ne perderebbe ogni decoro. Staël, Biblioteca Italiana, vol. I, p. 12. Esaminiamo. Che la traduzione del Delille sia migliore d’ogni altra traduzione francese qualunque (in quanto traduzione), di questo ne possono e debbono giudicare i francesi meglio che gli stranieri. Se poi, fatto il paragone tra la detta traduzione e l’originale, vi si trovi tutta quella conformità ed equivalenza che i francesi stimano di ravvisarvi (quantunque concederò che se ne trovi tanta, quanta mai si possa trovare in versione francese), questo giudizio spetta piuttosto agli stranieri che a’ francesi, e noi italiani massimamente siamo meglio  (963) a portata che qualsivoglia altra nazione, di giudicarne.

Siccome ciascuno pensa nella sua lingua o in quella che gli è piú famigliare, cosí ciascuno gusta e sente