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16 | pensieri | (479-480) |
cagione). Perché? Perché nel primo caso le illusioni restano, nel secondo svaniscono, e vi sono intieramente annullate e strappate a viva forza. La persona amata, dopo la sua morte, sussiste ancora tal qual’era, e cosí amabile come prima, nella nostra immaginazione. Ma nell’altro caso, la persona amata si perde affatto, sottentra un’altra persona, e quella di prima, quella persona amabile e cara, non può piú sussistere neanche per nessuna forza d’illusione, perché la presenza della realtà e di quella stessa persona trasformata per malattia cronica, pazzia, corruttela di costumi ec. ec., ci disinganna violentemente, e crudelmente, e la perdita dell’oggetto amato non è risarcita neppur dall’immaginazione, anzi neanche dalla disperazione o dal riposo sopra lo stesso eccesso del dolore, come nel caso di morte. Ma questa perdita è tale, che il pensiero e il sentimento non vi si può adagiar sopra in nessuna maniera. (480) Da ogni lato ella presenta acerbissime punte (8 gennaio 1821).
* Che il nostro pensare non sia altro che il pensare latino, perduto il significato proprio e conservato il metaforico di ponderare col pensiero, come appunto il ponderare latino e italiano oggidí non ritiene se non la significazione traslata di considerare o meditare, e come gli antichi latini adoperassero veramente il loro pensare in maniera similissima alla presente italiana, vedilo in una nota dell’Heinsio a Velleio II, 129, sect. 2. Consulta ancora il Forcellini, e l’Appendice.
* Naturale nella maniera che noi ed i francesi lo sogliamo adoperare frequentemente, è naturale che questo succeda; il est bien naturel ec. si adoperava anche in latino, sebbene i lessicografi non l’abbiano osservato (né il Forcellini, né l’Appendice). Asconio in Orat. contra L. Pisonem, Argumento: Sed ut ego ab eo