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270 pensieri (924-925)

niero uguale al compatriota e, peggio, se lo crederà migliore? Cosa indubitata: da che il nazionale ha potuto o voluto ragionare sulle nazioni e giudicarle, da che tutti gli uomini sono stati uguali nella sua mente, da che il merito presso lui non ha dipenduto dalla comunanza della patria ec. ec., da che egli ha cessato di persuadersi che la sua nazione fosse il fiore delle nazioni, la sua razza la cima delle razze umane; dopo, dico, che questo ha avuto luogo, le nazioni sono finite e come nella opinione cosí nel fatto si sono confuse insieme, passando inevitabilmente la indifferenza dello spirito e del giudizio e del concetto alla indifferenza del sentimento, della inclinazione e dell’azione. E questi pregiudizi che si rimproverano alla Francia, perché offendono l’amor proprio degli stranieri, sono la somma salvaguardia della sua nazionale indipendenza, come lo furono presso gli antichi;  (925) la causa di quello spirito nazionale che in lei sussiste, di quei sacrifizi che i francesi son pronti a fare ed hanno sempre fatto per conservarsi nazione e per non dipendere dallo straniero; e il motivo per cui quella nazione, sebbene cosí colta ed istruita (cose contrarissime all’amor patrio), tuttavia serba ancora, forse piú che qualunque altra, la sembianza di nazione. E non è dubbio che dalla forza di questi pregiudizi, come presso gli antichi, cosí nella Francia doveva seguire quella preponderanza sulle altre nazioni d’Europa, ch’ella ebbe finora e che riacquisterà verisimilmente (6 aprile 1821).


*    Si considera come sola cosa necessaria la vita, la quale anzi è la cosa meno necessaria di tutte le altre. Perché tutte le necessità o desiderabilità hanno la loro ragione nella vita, la quale, massime priva delle cose o necessarie o desiderabili, non ha la ragione della sua necessità o desiderabilità in nessuna cosa (6 aprile 1821).