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pensieri |
(921-922-923) |
curarsi del meglio che in verità è sempre nemico del bene. Ma l’entusiasmo, la vita, le virtú splendide dei popoli liberi non pare che si possano compatire con questa costituzione. Tolte le due molle dell’ambizione e della cupidigia, vale a dire dell’interesse proprio, tolta quasi la molla della speranza, almeno della grande speranza, deve seguirne l’inattività e il poco valore in tutto il significato di questa parola, la poca forza nazionale ec. L’interesse proprio non essendo legato con quello della patria, o per lo meno, con quello del di lei avanzamento, giacché questo avanzamento non sarebbe (922) legato, o certo poco legato, coll’avanzamento individuale e di quello stesso che avesse procurato l’avanzamento della patria; di piú non partecipando se non pochissimi al governo e quindi la moltitudine non sentendo intimamente di far parte della patria e d’esser compatriota de’ suoi capi; l’amor patrio in questo tal popolo o non deve formalmente e sensibilmente esistere, o certo non dev’esser molto forte, né cagione di grandi effetti, né capace di spingere l’individuo a grandi sacrifizi. Il fatto dimostra queste mie osservazioni. Perché una conseguenza immancabile di questa costituzione dev’essere, secondo il mio discorso, che un tal popolo, ancorché libero e, quanto all’interno, durevole nella sua libertà e nel suo stato pubblico, tuttavia non possa essere conquistatore. Ora ecco appunto che Arriano ci dice, come gl’indiani non solo non furono mai conquistatori, ma per una parte, da Bacco e da Ercole in poi, era opinione οὐδένα ἐμβαλεῖν ἐς γῆν τῶν Ἰνδῶν ἐπὶ πολέμῳ fino ad Alessandro (loc. cit. cap. IX, sect. 10, p. 569); ed ecco la cagione per cui anche senza troppa forza nazionale ed interna il loro stato poté durare lungamente; per l’altra parte era pure opinione (sect. 12, p. cit.) οὐ μὲν δὴ οὐδὲ Ἰνδῶν τινα ἒξω τῆς οἰκείης σταλῆναι ἐπὶ πολέμῳ, διὰ δικαιότητα (ad bellum missum (923) esse. interpres). E altrove piú brevemente: (cap. V, sect. 4,