ché l’egoismo è un amore di preferenza, che si applica a se stesso o a chi si considera come se stesso: e l’universale esclude l’idea della preferenza. Molto piú poi è stravagante l’amore sognato da molti filosofi, non solo di tutti gli uomini, ma di tutti i viventi e, quanto si possa, di tutto l’esistente; cosa contraddittoria alla natura, che ha congiunto indissolubilmente all’amor proprio una qualità esclusiva, per cui l’individuo si antepone agli altri e desidera esser piú felice degli altri e da cui nasce l’odio, passione cosí naturale e indistruggibile in tutti i viventi, come l’amor proprio. Ma, tornando al proposito, la detta società di mezzana grandezza non è altro che una nazione. Perché l’amore delle particolari città native è dannoso oggi come l’amore de’ piccoli corpi, non producendo niente di grande, come non dà eccitamento né premio a virtú grandi, e d’altra parte staccando l’individuo dalla società nazionale, e dividendo le nazioni in tante parti, tutte intente a superarsi l’una coll’altra e quindi nemiche scambievoli: del che non si può dare maggior pregiudizio. Le città antiche, se anche erano piccole come le moderne, e tuttavia servivano (896) di patria, erano però piú importanti assai, per la somma forza d’illusioni che vi regnava e che, somministrando grandi eccitamenti e premi grandi, ancorché illusorii, bastava alle grandi virtú. Ma questa forza d’illusioni non è propria se non degli antichi, che come il fanciullo sapevano trar vita vera da tutto, ancorché menomo. La patria moderna dev’essere abbastanza grande, ma non tanto che la comunione d’interessi non vi si possa trovare, come chi ci volesse dare per patria l’Europa. La propria nazione, coi suoi confini segnati dalla natura, è la società che ci conviene. E conchiudo che senza amor nazionale non si dà virtú grande. Da tutto ciò deducete il gran vantaggio del moderno stato, che ha tolto assolutamente il fondamento, anzi la