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240 | pensieri | (884-885) |
᾽Αλέξανδρον δὲ φιλομακεδόνα, ἀλλ᾽ οὐ φιλάνθρωπον· ᾽Αγησίλαον δὲ φιλέλληνα, τὸν δὲ Σεβαστὸν φιλορώμαιον, ἄλλον δὲ ἄλλου γένους ἢ ἔθνους ἐραστὴν οὐ καὶ βασιλεὺς ἐνομίσθη.(regium dominatum exercuit. Maius). Φιλάνθρωπος δὲ ἁπλῶς καὶ βασιλεὺς ἁπλῶς, ὁ τοῦτο ζητῶν μόνον εἰ ἄνθρωπος ὁ χρήζων ἐπιεικείας· (qui clementia indiget. Maius.) καὶ μὴ εἰ Σκύθης ἢ Μασαγέτης, ἢ τὰ καὶ τὰ προηδίκησε (Mediol., regiis typis, 1816. inventore et interprete Angelo Maio, p. 66. Vedi tutto quel capo e parte del resto, che tutto fa a questo proposito, ma il luogo riferito principalmente, e dà gran luce e tutta appropriata, al mio discorso. Vedi anche l’orazione X di Temistio dell’edizione Harduin, p. 132, B-C. e l’orazione I, p. (885) 6, B citate qui in margine dal Mai, come contenenti luoghi paralleli al riportato). Cosí egli lodando Teodosio magno. E infatti la filantropia, o amore universale e della umanità, non fu proprio mai né dell’uomo né de’ grandi uomini e non si nominò se non dopo che, parte a causa del cristianesimo, parte del naturale andamento dei tempi, sparito affatto l’amor di patria e sottentrato il sogno dell’amore universale, (ch’è la teoria del non far bene a nessuno), l’uomo non amò veruno fuorché se stesso, ed odiò meno le nazioni straniere, per odiar molto piú i vicini e compagni, in confronto dei quali lo straniero gli dovea naturalmente essere, com’é oggi, meno odioso, perché si oppone meno a’ suoi interessi e perch’egli non ha interesse di soverchiare, invidiare ec. i lontani, quanto i vicini.
Da tutte queste osservazioni e fatti risulta un’altra osservazione e un altro fatto conosciutissimo e caratteristico dell’antichità; o piuttosto risulta la spiegazione di questo fatto. Perché, amando l’individuo la patria sua, e conseguentemente odiando gli stranieri, ne seguiva che le guerre fossero sempre nazionali. E tanto piú accanite, quanto l’individuo era da ambe le parti piú infiammato della sua causa, cioè dell’amor patrio. Massimamente dunque lo erano