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(471-472) | pensieri | 11 |
virebbero? Che utile reale se ne trarrebbe? Se dunque, trovatele, qualcuno, le dispergesse e perdesse, o profanasse, disprezzasse ec. che torto avrebbe in realtà? anzi non oprerebbe secondo la vera ed esatta ragione? Come dunque meriterebbe il biasimo, l’esecrazione degli uomini civili? E pur quella si chiamerebbe barbarie. Dunque la ragione non è barbara? Dunque la civiltà dell’uomo sociale e delle nazioni, non si fonda, non si compone, non consiste essenzialmente negli errori e nelle illusioni? Lo stesso (472) dite generalmente della cura de’ cadaveri, dell’onore de’ sepolcri ec. (3 gennaio 1821).
* Velleio II, 98, sect. 2.: Quippe legatus Caesaris triennio cum his bellavit; gentesque ferocissimas, plurimo cum earum excidio, nunc acie, nunc expugnationibus, in pristinum pacis redegit modum; ejusque patratione, Asiae securitatem, Macedoniae pacem reddidit. Eiusque patratione a che si riporta? Spiegano eiusque pacis Patratione (cosí l’indice Velleiano). Ottimamente: fatta la pace, o con quella pace, rendé la pace alla Macedonia. Leggo: eiusque belli patratione, (4 gennaio 1821), ovvero eiusque patratione belli. Vedi p. 477, capoverso 2.
* Non solo la facoltà conoscitiva, o quella di amare, ma neanche l’immaginativa è capace dell’infinito, o di concepire infinitamente, ma solo dell’indefinito, e di concepire indefinitamente. La qual cosa ci diletta perché l’anima non vedendo i confini, riceve l’impressione di una specie d’infinità, e confonde l’indefinito coll’infinito; non però comprende né concepisce effettivamente nessuna infinità. Anzi nelle immaginazioni le piú vaghe e indefinite, e quindi le piú sublimi e dilettevoli, l’anima sente espressamente una certa angustia, una certa difficoltà, un certo desiderio insufficiente, un’impotenza decisa di abbracciar tutta