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220 | pensieri | (849-850) |
moderni, pel carattere però della sua lingua appartenesse piuttosto a quegli ultimi. E pure la sua cura, qualunque fosse, è cosí nascosta, la sua lingua, la collocazione e l’ordine delle sue parole, la struttura de’ periodi e dell’orazione, cosí facile, piana, semplice, naturale, spontanea, che non solo non si allontana dalla primitiva indole della sua lingua, ma riesce anche piú chiaro e facile e stralciato di parecchi altri degli ottimi e certo non meno di veruno di essi. Tanto che a paragonare Isocrate, stimato l’elegantissimo e l’accuratissimo degli ottimi scrittori greci, col meno elegante e lavorato de’ buoni, si troverà questo, molto piú difficile, e men piano e svolto di lui. Sicchè, come da Senofonte ed Erodoto conosciamo qual fosse la semplicità e la soavità, da Tucidide e Demostene la forza e il nervo di quella antica lingua greca, cosí da Isocrate conosciamo qual ne fosse la eleganza, e la galanteria; e quanto diversa da quella che sotto questo nome fu introdotta (850) ne’ secoli e dagli scrittori ancor buoni e notabilissimi, ma non ottimi, della greca letteratura.
Finché questa dunque durò nel suo primo ed ottimo stato, la diversità fra la lingua parlata e scritta, fu piccola, e, credo io, non molto maggiore di quella che ora sia in Francia. Prova ne può essere fra le altre molte l’aver letto Erodoto la sua storia al popolo, e averne riscosso quegli applausi nazionali che tutti sanno. Cosa che non sarebbe avvenuta, se (posta nel rimanente la parità delle circostanze) il Guicciardini avesse letta la sua storia alla moltitudine. E se Tito Livio o Tacito avessero fatto lo stesso, non al cospetto di giudici scelti e intelligenti, ma avendo per giudice, o anche avendo ad esser giudicati da alcuni pochi, ma applauditi però con entusiasmo dalla moltitudine, crediamo noi che vi sarebbero riusciti? Quanto alle orazioni de’ famosi oratori latini, dette nella concione, ognuno sa, che le scritte erano diverse dalle recitate,