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nella vocale, senza che questa sia determinata, la lingua sceglie naturalmente e cade e si riposa nella e; e cosí anche, come si vede per la detta osservazione, quando questa vocale le ha da servire come di gradino alla pronunzia di consonanti. L’Italia quanto alla s impura non è stata piú delicata dei latini e de’ latini [sic].  (814) Vero è però che quando la s impura sarebbe preceduta da consonante, l’Italia per usanza non naturale, ma grammaticale, artifiziale, acquisita, e particolare sua, v’interpone la i non la e (in ispirito ec). Credo però che il contrario facessero scrivendo i primi italiani. Del resto riferite alla suddetta osservazione il nostro dire ef, el ec. e non if, il (18 marzo 1821).


*    La nostra condizione oggidí è peggiore di quella de’ bruti anche per questa parte. Nessun bruto desidera certamente la fine della sua vita, nessuno, per infelice che possa essere, o pensa a tòrsi dalla infelicità colla morte, o avrebbe il coraggio di procurarsela. La natura che in loro conserva tutta la sua primitiva forza li tiene ben lontani da tutto ciò. Ma se qualcuno di essi potesse desiderar mai di morire, nessuna cosa gl’impedirebbe questo desiderio. Noi siamo del tutto alienati dalla natura, e quindi infelicissimi. Noi desideriamo bene spesso la morte e ardentemente, e come unico evidente e calcolato rimedio delle nostre infelicità; in maniera che noi la desideriamo spesso, e con piena ragione e siamo costretti a desiderarla  (815) e considerarla come il sommo nostro bene. Ora, stando cosí la cosa, ed essendo noi ridotti a questo punto, e non per errore ma per forza di verità, qual maggior miseria che il trovarsi impediti di morire e di conseguire quel bene che, siccome è sommo, cosí d’altra parte sarebbe intieramente in nostra mano; impediti, dico, o dalla religione o dall’inespugnabile, invincibile, inesorabile, inevitabile incertezza della nostra origine, destino, ultimo fine e di quello che ci possa at-