Pagina:Zibaldone di pensieri II.djvu/186

(763-764-765) pensieri 173

essere a un tempo viva e morta. Converrebbe che anche questa nazione vivesse come morta, cioè che nella sua esistenza non  (764) accadesse mai novità, divario, mutazione veruna, né di opinioni, né di usi, né di cognizioni, come, e piú di quello che si dice della China, la cui lingua in tal caso potrà essere immobile; e di piú che sia in tutto e per tutto conforme alla vita e alle condizioni de’ nostri antichi e di que’ secoli dopo i quali non vogliono che sia piú lecita la novità delle parole.


     E infatti che differenza troveremo fra la lingua italiana viva e le morte, ammesso questo pazzo principio? Che libertà, che facoltà avremo noi nello scrivere la lingua nostra presente, piú di quello che nell’adoprare la greca e latina che sono antiche ed altrui? e le cui fonti sono disseccate e chiuse da gran tempo, restando solo quel tanto ch’elle versarono mentre furono aperte e quelle lingue vissero. Anzi io tengo per fermo che quegli scrittori italiani, i quali nel cinquecento maneggiarono la lingua latina in maniera da far quasi dubbio se ella fosse loro artifiziale o naturale, furono assai meno superstiziosi di quello che molti vorrebbero che fossimo noi trattando la lingua nostra. E noi medesimi oggidí (parlo degli scienziati o letterati di tutta Europa) derivando, come facciamo spessissimo,  (765) dal greco le parole che ci occorrono per li nostri usi presenti e per novità di cose ignotissime ai parlatori di quella lingua, non formiamo voci parimente ignote all’antica lingua greca? Ci facciamo scrupolo se non sono registrate nel lessico, o se non hanno per se l’autorità degli antichi scrittori? Non innuoviamo noi in una lingua morta, stranierissima, e al tutto fuori d’ogni nostro diritto? Il che, sebbene si facesse con buon giudizio e coi dovuti rispetti all’indole di quella lingua (al che per verità pochi hanno l’occhio nella formazione di tali voci), a ogni modo vi si potrebbe sofisticar