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(638-639-640) | pensieri | 107 |
quanto le circollocuzioni troppo frequenti (e converrebbe che fossero frequentissime) tolgano di grazia di forza di proprietà di rapidità al discorso ed inceppino, ritardino, (639) impaccino, infastidiscano lo scrittore e il lettore, in qualunque caso. Ma dico primieramente che si daranno infinite occorrenze, dove una di quelle cose che non hanno vocabolo italiano accada di esprimerla frequentissimamente, tratto tratto, piú volte nello stesso periodo. Ora, quando a grande stento si sarà trovata una circollocuzione che equivalga veramente, al che sarà spesso necessario ch’ella sia lunghissima, come ripeterla a ogni tratto, e in un periodo stesso piú volte? come variarla, se appena se n’è trovata una che equivalga? come abbreviarla, se, tolta qualche parola, ella non ha piú la stessa forza, e non dice tutto, non esprime piú quella tale idea, se non è tutta distesa ed intera? Una parola si adatta a prendere tutte le positure, s’introduce da per tutto, si maneggia facilmente, speditamente e a beneplacito. Ma una circollocuzione, un corpo grosso e disadatto, che se non ha tanto di luogo, non può entrare o giacere, come troverà sito, dirò cosí, in quelle pieghe, in quei cantoni, in quegli spicoli, in quegli spazietti, (640) in quei passaggetti, in quelle rivolte (rivolture, rivoltatine, che in tutti questi modi si può dire, come dice il Firenzuola, le rivolture degli orecchi) in quelle giratine, in quelle tortuosità, in quelle angustie e stretture del discorso o del periodo, cosí frequenti, dove spessissimo vorrà e dovrà entrare quella tale idea, ed entrerebbe la parola, la circollocuzione non già?
Dico in secondo luogo che infinite cose vi sono, le quali non si possono esprimere mediante veruna circollocuzione: verbigrazia, quello che i francesi intendono cosí spesso per la parola génie (usata nello stesso senso dal Magalotti, come dice il Monti nella Biblioteca Italiana). Come esprimere per circollocuzione quello che non si può definire? Dove manca la facoltà della