bisogni, come ne hanno gli animali; peraltro con quel di piú che conviene alla nostra specie, a causa dell’organizzazione, specialmente riguardo agli organi della favella. Anche gli animali hanno piú o meno società, proporzionatamente alla natura rispettiva e le scimie piú degli altri, perché piú si accostano alla nostra organizzazione. Questo fenomeno si può naturalmente spiegare colla diversità dell’organizzazione, la quale in noi è tale che ci dà somma facilità di sperimentare e quindi conoscere e quindi alterare il nostro primo stato: giacché l’esperienza è la sola madre della cognizione (418) e del sapere, come anche delle immaginazioni determinate (non della facoltà immaginativa): e questo in tutti i viventi: essendo riconosciute per favola le idee assolutamente innate. Cosí forse anche la nostra diversa organizzazione interna, come del cervello ec. Ma da questa spiegazione si potrebbe conchiudere che l’uomo dunque, invece d’essere il primo degli enti nell’ordine delle cose terrestri, è anzi l’infimo, perch’é il piú facile a perdere la sua felicità, ossia la perfezione; e quasi impossibilitato a conservarla (questa conseguenza già non sarebbe assurda se non per chi si forma della perfezione un’idea assoluta, ossia considera la perfezione assolutamente secondo le nostre idee nello stato presente. Chi considera la perfezione e ogni altra cosa come relativa, non avrebbe difficoltà di creder l’uomo l’infimo degli enti terrestri). Il cristianesimo spiega chiaramente perché la ragione e il sapere corruttori dell’uomo siano in lui cosí facili a prevalere, giacché attribuisce la cagione originale e radicale della sua corruzione al peccato, il quale introdusse lo squilibrio fra la ragione e la natura sua, ragione e natura ottimamente equilibrate o subordinate l’una all’altra, insomma combinate negli altri esseri viventi. Ed è ben conforme alla ragione e ben verisimile il supporre che Dio, volendo manifestare la sua misericordia e tutta la sua gloria alla terra e avendo