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430 pensieri (378-379)

vano si presume di ricavar nulla di definito e concreto, circa la questione dello stato e perfezione destinata particolarmente all’uomo e desiderata da lui ardentemente. Io dico dunque: lo stato di perfezione, quello stato di ordine, fuori del quale non c’é riposo, fuor del quale non c’é la tranquillità dell’ordine né la felicità, è per l’uomo, come per tutte le altre cose esistenti, quello stato in cui la natura l’ha posto di sua propria mano e non quello in cui egli o si sia posto o si debba porre da se.


*   Il capo 9 dell’Essai ec. qui sopra citato è il piú forte profondo e concludente forse di tutta l’opera, perché le prove della religione non sono dedotte dalla considerazione dell’uomo qual egli è, dalle opinioni ec., ma dalla natura dell’uomo. Farai bene a rileggerlo. Ma ecco il suo raziocinio. La felicità non si trova se non nella perfezione di cui l’essere è capace. Un essere non è perfetto se le sue facoltà non sono perfettamente d’accordo fra loro, perfettamente sviluppate secondo la loro natura e se non godono ciascuna del suo proprio oggetto secondo tutta l’estensione della sua capacità; non è perfetto s’egli non è in conformità colle leggi che risultano dalla sua natura. Ma per conformarcisi (379) bisogna conoscerle. Dunque l’uomo non sarà felice se non quando conosca se stesso e i rapporti necessari che ha con altri esseri. E deve poterli conoscere, altrimenti sarebbe un essere contraddittorio, perché, avendo un fine, cioè la perfezione o la felicità, non avrebbe alcun mezzo di pervenirvi. L’uomo dunque, inclinando alla perfezione o felicità, inclina sommamente alla cognizione del vero. Dalla cognizione deriva l’amore o l’odio, ossia il giudizio relativo alla qualità buona o cattiva. Dall’amore o l’odio deriva l’azione, perché l’uomo non si può determinare se non a quello che crede bene. L’ignoranza assoluta è uno stato di morte, perché,