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(345-346) | pensieri | 405 |
l’idea, secondo però: 1°, i diversi aspetti o parti piú o meno vivi, principali, caratteristici, esprimibili; il diverso numero di aspetti, parti, o relazioni della cosa considerato dagl’inventori della parola; 2°, la diversa forza d’immaginazione, sentimento, delicatezza ec. nei detti inventori; 3°, la diversa loro facoltà di applicare il suono alla cosa; 4°, il diverso carattere della nazione, clima, circostanze naturali, morali, politiche, geografiche, intellettuali ec.; la dolcezza, o l’asprezza, la ruvidezza o gentilezza ec.; 5°, la diversa impressione prodotta dagli stessi oggetti ne’ diversi popoli o individui. Solamente quella grazia che non deriva dalla naturalezza, semplicità ec., l’eleganza ec., può guadagnare; ma quella che deriva dai detti fonti massime nelle frasi e modi, ed è la principale e piú solida e durevole, la forza poi assolutamente, l’evidenza e l’efficacia, non possono altro che perdere infinitamente coll’abolizione delle parole antiche e peggio colla sostituzione delle nuove. Qui ancora ha luogo la grande inferiorità dell’arte e della ragione alla natura, in tutto il bello, il grande, il forte, il grazioso ec. (21 novembre 1820).
* Tutte le cose vengono a noia colla durata, anche i diletti piú grandi: lo dice Omero, lo vediamo tuttogiorno. La monotonia è insoffribile. Ma un grande e forse sommo rimedio di questo male è lo scopo. Quando l’uomo si (346)
propone uno scopo o dell’azione o anche dell’inazione, trova diletto anche nelle cose non dilettevoli, anche nelle spiacevoli, quasi anche nella stessa monotonia; e quanto alle cose dilettevoli, l’uniformità e durata loro non nuoce al piacere di chi le dirigge a un fine. Io non credo che per altra piú capitale, universale ed intima ragione, gli studi sieno agli studiosi come un’eccezione dalla regola generale, cioè la continuazione di essi non pregiudichi quasi mai al piacere. Vedete tuttogiorno delle persone che