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332 pensieri (235-236)


*   Non è cosa tanto nemica della compassione quanto il vedere uno sventurato che non è stato in niente migliorato né ha punto appreso dalle lezioni della sventura, maestra somma della vita. Perché la prosperità, abbagliando e distraendo l’intelletto, è madre e conservatrice d’illusioni, e la sventura dissipatrice degli inganni e introduttrice della ragione e della certezza del nulla delle cose. E uno sventurato che non ha goccia di sentimento, che non arriva a sublimare un istante l’anima sua colla considerazione dei mali, che non ha acquistato nelle sue parole, almeno quando parla di se, niente di eloquenza e di affetto, che non mostra una certa grandezza d’animo, non per disprezzare, ma per nobilitare la sua sventura (236) quasi col sentimento di esserne indegno e di non lasciarsene abbattere senza una magnanima compassione di se; uno sventurato che vi parla delle sue sventure, coll’amor proprio il piú basso, col dolore il piú egoista, e vi fa capire che egli è tanto afflitto del male che soffre che voi non potreste mai arrivare (notate) ad uguagliare l’afflizion sua colla vostra compassione (l’uomo veramente penetrato di compassione si persuade che il paziente non sia piú addolorato di lui, insomma non fa differenza fra il paziente e se stesso, essendo pronto a tutto per aiutarlo, e perciò non mette divario tra il dolore del paziente e il suo proprio); questo sventurato non otterrà forse un’ombra di compassione, e il suo male sarà dimenticato, appena saremo lontani da lui.


*   Tutto quello che ho detto in parecchi luoghi dell’affettazione dei francesi, della loro impossibilità di esser graziosi ec., bisogna intenderlo relativamente alle idee che le altre nazioni o tutte o in parte, o riguardo al genere, o solamente ad alcune particolarità, hanno dell’affettazione grazia ec., perché riflette molto bene Morgan France l.3, t.1, p.257, Il faut pourtant accorder