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318 pensieri (216-217-218)

la vita. Le quali cose se ridurranno finalmente gli uomini a perder tutte le illusioni e le dimenticanze, a perderle per sempre ed avere avanti gli occhi continuamente e senza intervallo la pura e nuda verità, di questa razza umana non resteranno altro che le ossa, come di altri animali di cui si parlò nel secolo addietro. Tanto è possibile che l’uomo viva staccato affatto dalla natura, dalla quale sempre piú ci andiamo allontanando, quanto che un albero tagliato dalla radice fiorisca e fruttifichi. Sogni (217) e visioni. A riparlarci di qui a cent’anni. Non abbiamo ancora esempio nelle passate età dei progressi di un incivilimento smisurato e di un snaturamento senza limiti. Ma se non torneremo indietro, i nostri discendenti lasceranno questo esempio ai loro posteri, se avranno posteri (18-20 agosto 1820).


*   Ripetono tutto giorno i francesi che Bossuet ha soggiogato la sua lingua al suo genio. Io dico che il suo genio è stato soggiogato dalla lingua, costumi, gusti del suo paese. I francesi, che scrivono sempre come conversano, timidissimi per conseguenza, o piuttosto codardi, come dev’esser quella nazione presso cui un tratto di ridicolo scancella qualunque piú grave e seria impressione e fa piú romore degli affari e pericoli di stato, si maravigliano d’ogni minimo ardire e stimano sforzi da Ercole quelli che in Italia e nel resto d’Europa sono soltanto deboli argomenti d’ingegno robusto, libero, inventore e originale. E per una parte hanno ragione, perché l’osar poco in Francia, dove la regola è di vivre et faire comme tout monde, costa assai piú che l’osar molto altrove. Ma in fatti poi, cercando in Bossuet questo grande ardire e questa robustissima eloquenza, trovate piuttosto impotenza che forza, e vedrete che appena alzato si abbassa. Questo senza fallo è il (218) sentimento ch’io provo sempre leggendolo; appena mi ha dato indizio