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(166-167) | pensieri | 273 |
per estensione, non potrebbe per durata, perché la natura delle cose porta ancora che niente sia eterno. E posto che quella material cagione, che ti ha dato un tal piacere una volta, ti resti sempre (per esempio, tu hai desiderato la ricchezza, l’hai ottenuta, e per sempre), resterebbe materialmente, ma non piú come cagione neppure di un tal piacere; perché questa è un’altra proprietà delle cose, che tutto si logori, e tutte le impressioni a poco a poco svaniscano, e che l’assuefazione, come toglie il dolore, cosí spenga il piacere. Aggiungete che quando anche un piacere provato una volta ti durasse tutta la vita, non perciò l’animo sarebbe pago, perché il suo desiderio è anche infinito per estensione; cosí che quel tal piacere, quando uguagliasse la durata di questo desiderio, non potendo uguagliarne l’estensione, il desiderio resterebbe sempre, o di piaceri sempre nuovi, come accade in fatti, o di un piacere che riempiesse tutta l’anima. Quindi potrete facilmente concepire come il piacere sia cosa vanissima sempre, del che ci facciamo tanta maraviglia, come se ciò venisse da una sua natura particolare, quando il dolore la noia ec., non hanno questa qualità. Il fatto è, che quando l’anima desidera una cosa piacevole, desidera la soddisfazione di un suo desiderio infinito, desidera veramente il piacere e non un tal piacere; ora nel fatto, trovando un piacere particolare, e non astratto, e che comprenda tutta l’estensione del piacere, ne segue che, il suo desiderio non essendo soddisfatto di gran lunga, il piacere appena è piacere, perché non si tratta di una piccola ma di una somma (167) inferiorità al desiderio e oltracciò alla speranza. E perciò tutti i piaceri debbono esser misti di dispiacere, come proviamo, perché l’anima nell’ottenerli cerca avidamente quello che non può trovare, cioè una infinità di piacere, ossia la soddisfazione di un desiderio illimitato.
Veniamo alla inclinazione dell’uomo all’infinito.