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(164-165) pensieri 271

appresso i persiani divenuti fiacchissimi, e perciò barbari e privi di libertà, per la depravazione degli antichi costumi e istituti che li rendevano vigorosissimi. Vedi la Ciropedia, cap. ult., art. 5. e segg. sino al fine.


*   In proposito di quello che ho detto, pagina 108, notate come ci muova a compassione e c’intenerisca il veder qualunque persona che nell’atto di provare un dispiacere, una sventura, un dolore ec. dà segno della propria debolezza, e impotenza di liberarsene. Come anche il veder maltrattare anche leggermente una persona che non possa resistere (11 luglio 1820).


*   Il racconto è uffizio della parola, la descrizione del disegno, eseguito in qualunque modo. Quindi non è maraviglia che quello sia piú facile di questa al parlatore. E questa è una delle primarie cagioni per cui era falso ed assurdo quel genere di poesia poco fa tanto in pregio e in uso appresso gli stranieri massimamente, che chiamavano descrittiva. Perché quantunque il poeta o lo scrittore possa bene assumere anche l’uffizio di descrivere, è da stolto il farne professione, non essendo uffizio proprio della poesia; e quindi non è possibile che non ne risulti affettazione e ricercatezza, e stento, volendolo fare per istituto e per argomento, lasciando stare la noia che deve nascere dalla lettura di una poesia tutta diretta a un uffizio proprio di un’altra arte, e perciò e inferiore a questa, malgrado qualunque studio, e stentata e tediosa per la continuazione di una cosa, che, non appartenendole, non può esser troppo lunga, al contrario di quelle che le appartengono, nelle quali nessuno biasima che [la] poesia si ravvolga tutta intera (12 luglio 1820).  (165)


*   Il sentimento della nullità di tutte le cose, la insufficienza di tutti i piaceri a riempierci l’animo,